Nicola Dinoia. Oasis
Ogni città è uno stato d’animo e basta soggiornarvi un po’ perché tale stato d’animo si comunichi, si prolunghi in noi attraverso un fluido che si inietta e si incorpora con le sfumature dell’aria.
George Rodenbach, Bruges la morte (1892)
L’evoluzione artistica di Nicola Dinoia è determinata da una sorta di “geografia affettiva” costruita su Irsina, suo paese natale, il Belgio, dove ha vissuto per oltre 10 anni, Palermo, città dove ha soggiornato dopo il rientro all’estero, Torino, dove risiede attualmente. Luoghi che hanno plasmato il suo sguardo e l’esito anche formale della sua pittura. In particolare l’arrivo a Torino, avvenuto nel 2020, si è legato inevitabilmente alla cronaca della crisi pandemica. L’isolamento imposto dal lockdown ha portato l’artista ad ‘afferrarsi’ alla carta e alla tempera, baluardi alla precarietà del momento e alla costrizione dello spazio del quotidiano forzato in pochi metri quadrati, utilizzando come stratagemma la contemplazione delle cose. Nella pratica ciò si è tradotto in un ripensamento del dispositivo pittorico, costruito su una nuova concezione di figurativo, maggiormente ancorato al reale, sulla semplificazione delle linee e sulla combinazione di pochi elementi essenziali illuminati da una luce obliqua e fredda. Il risultato è il ciclo Oasis.
La pittura di Nicola Dinoia si offre al visitatore come un caleidoscopio costruito da una sequenza silenziosa di immagini cristallizzate in un chiarore metafisico. Il lessico artistico sul quale si struttura è evidentemente industriale: una lavatrice; una 127 rossa; un materasso; sacchi dell’immondizia; cartoni; lamiere. Ma anche una pianta; echi di immagini che appartengono al percorso intellettuale e artistico di Dinoia (le sue opere sono infatti ricche di citazioni che spaziano dalla storia dell’arte - da Velázquez, a De Chirico - al cinema e alla letteratura). Un repertorio iconografico lontano però da ogni lirismo arcadico o nostalgia struggente.
In questo spazio che trattiene insieme una dimensione naturale e i resti della civiltà dell’antropocene, gli elementi sono quelli dell’infanzia trascorsa nell’arsa campagna estiva, ma anche di un quotidiano urbano, e intendono ri-costruire una visione del mondo attraverso l’assemblaggio di singole parti: «In questi dipinti metto in scena composizioni di tipici rifiuti urbani: elettrodomestici, sacchi di immondizia, vecchie automobili, cartoni e stracci in cui si nascondono a volte carnevalesche figure umane. Sono una sorta di oasi con oggetti e piante tra paesaggi desolati e metafisici. I cieli sono spesso inquieti e scuri premonitori di qualcosa di inaspettato» riporta l’artista in una sua intervista.
La convinzione della forza generatrice del gesto pittorico è l’asse dell’arte di Nicola Dinoia, che trascende la mera documentazione di questi oggetti industriali abbandonati e li trasforma in icone di una società in transizione, attraverso suggestioni metafisiche, a tratti dal sapore quasi surreale, che non cedono mai il passo a scenari post-apocalittici. La riflessione costante di Dinoia sull’assemblaggio si palesa anche in progetti in cui il ricorso a tecniche come il collage diventa il manifesto di una necessità di ricomporre testo e contesto, in una frammentazione temporale e spaziale che riesce a mantenersi solida grazie allo sguardo sempre ancorato sul reale. A fare eco a queste opere sembra esserci l’assunto heideggeriano dell’individuo come di «essere nel mondo», ovvero circondato da cose che a quel mondo appartengono e che sono necessarie per entrare in relazione con esso. Nel lessico di Heidegger ciò si trasforma nell’invito a «prendersi cura» (Besorgen) di «ciò con cui si ha a che fare». Ed è in questo che forse risiede quel qualcosa di ‘inaspettato’ cui fa riferimento Nicola Dinoia: nella scoperta che l’avere cura passa anche per un continuo riassemblaggio, lontano dalla forza entropica e distruttiva, fondato su una costante ricostruzione. Una sorta di gioco infantile, che nel comporre e scomporre elementi suggerisce una diversa esplorazione dei percorsi semantici del tempo reale.
Fiorella Fiore
Intervista con Elena Corsi , OtherSouls, 12 Luglio 2021
Tre domande a Nicola Dinoia, un artista in bilico fra Italia e Belgio
Qual è il percorso che ti ha portato a questo tipo di espressività?
Dopo anni in cui costruivo delle opere con materiali quali carta, tessuto, legno, lavori che richiamavano la pittura senza veramente essere dei quadri, ho iniziato veramente a dipingere quando sono arrivato in Belgio ad Anversa.Grazie anche al clima favorevole e stimolante verso questo mezzo espressivo che si respirava nelle Fiandre, ho cominciato una serie di dipinti dal titolo “Reflected Landscapes”. In queste opere, celebravo e teatralizzavo il senso fondante della pittura stessa.Mi interessava svelare la forza generatrice di questo medium attraverso la sua dialettica riflessiva e di riproduzione del reale. Questi lavori rappresentano situazioni surreali che vedono protagonisti animali e piante. Spesso si vedono anche delle tele( dei quadri dentro il quadro). In questi dipinti la pittura diventa una sorta di ‘fluido magico’, che straborda trasformandosi costantemente in oggetti ed elementi naturali in un gioco di riflessi fra dentro e fuori lo spazio pittorico. Nel periodo di permanenza nelle Fiandre ho iniziato anche a lavorare con la tecnica del Collage. Non è stato un caso, quasi sempre gli studi che precedono i miei dipinti sono fatti con questa tecnica. Nella serie di collage che ho chiamato come il celebre film di Hitchcock: Rear window, ho realizzato una successione di immagini rigorosamente basate sulle architetture che vedevo dalla mia finestra sul cortile della mia casa di Anversa. In questi collage i calanchi così come le montagne della pittura medioevale e rinascimentale, si assemblano ad edifici moderni ricreando stranianti paesaggi urbani.Lo scrittore Franco Arminio nelle sue riflessioni parla delle costruzioni moderne delle nostre città come corpi estranei al paesaggio. Quello che ho fatto in questi lavori è modificare l’alienante paesaggio urbano che ci circonda quotidianamente riempiendolo di elementi estranei ad esso: ho tentato di conciliare quei “corpi estranei” a dei paesaggi per me familiari creando visioni stranianti, frutto del sogno e della nostalgia .Il percorso che porta a Oasi
Il percorso che mi ha portato poi alla mia ultima serie di lavori Oasi 2020-21 è stata invece la mia permanenza di quasi 3 anni nel sud Italia. Questi lavori per lo più su carta sono un po’ il frutto del mio ritorno al sud o almeno di quello che ho metabolizzato successivamente a quella esperienza.Esperienza che definirei perturbante per le sensazioni intense che ho sentito vivendo e poi abbandonando quel territorio sublime e trascurato. In questi dipinti metto in scena composizioni di tipici rifiuti urbani: elettrodomestici, sacchi di immondizia, vecchie automobili, cartoni e stracci in cui si nascondono a volte carnevalesche figure umane. Sono una sorta di oasi con oggetti e piante tra paesaggi desolati e metafisici. I cieli sono spesso inquieti e scuri premonitori di qualcosa di inaspettato.
In quale modo il tuo lavoro si lega alla letteratura?
Anche se non posso dire che un libro in particolare abbia ispirato direttamente il mio lavoro, le intense letture di autori come Calvino, Buzzati, Gunter Grass, Cormac McCarthy, Borges hanno aiutato a consolidare una certa mia sensibilità e un mio immaginario. Quello che mi colpisce di questi autori è il loro modo di trattare la realtà sempre sospesa e straripante di memoria.
Esiste un progetto futuro o una collaborazione in fase di sviluppo?
Appena la situazione si normalizzerà, vorrei organizzare una mostra ad Anversa, da tempo collaboro con uno spazio espositivo che si chiama La Situation , avendo vissuto lì molti anni, ho la fortuna di avere un pubblico che segue e supporta il mio lavoro.